I Queen celebrano 40 anni di musica e 300 milioni di dischi venduti

In Italia i fan della «Regina» non sono mai mancati e c'è da scommettere che, già da qualche mese, staranno mettendo da parte un bel po' di soldini per celebrare degnamente un 2011 che si preannuncia ricco di anniversari a tema. No, non è di Maria Adelaide o Margherita di Savoia che qui si parla né delle ricorrenze per il centocinquantennale dell'Unità d'Italia ma di ciò cui il termine «Regina» fa pensare quando parliamo di rock: i Queen, la band fondata esattamente quarant'anni fa dal virtuoso della chitarra Brian May e da quell'istrione eccezionale che fu Freddie Mercury, morto per Aids proprio vent'anni fa. Un doppio anniversario che di sicuro rimpinguerà le casse di un gruppo che, in termini discografici e non solo, ha fruttato tanto. Diciamone un paio. Secondo le stime del «Times», il solo Freddie ha messo su tra proventi da diritti d'autore e merchandising un patrimonio da 50 milioni di sterline, di cui 30 a seguito della sua scomparsa. Poi ci sono i record: il «Greatest Hits» del 1981 è il disco che ha venduto di più sul mercato britannico (5,4 milioni di copie). L'edizione 2005 del Guinnes dei primati collocava i Queen in cima alla classifica degli artisti rimasti per più tempo nelle posizioni di vertice delle charts: qualcosa come 1.422 settimane, ossia poco meno di 28 anni. A livello complessivo la band ha venduto in giro per il mondo 300 milioni di copie, per 18 album e altrettanti singoli che hanno raggiunto la testa delle relative top ten, nonché 10 Dvd al primo posto. Logico aspettarsi un cerimoniale di tutto riguardo. Che si concentrerà soprattutto a Londra, città in cui a inizio 1971 la band si è costituita: dal 25 febbraio al 12 marzo si articolerà presso i locali della Old Truman Brewery la mostra «Stormtroopers in Stilettos: Queen, The Early Years», dedicata ai primi anni di attività e ai primi cinque album registrati. Per la prima volta riuniti insieme, all'interno di ambienti interattivi sonori e visivi, cimeli storici provenienti dall'archivio personale della band. Ben cinque sale, dedicate ciascuna a un album (nell'ordine: «Queen», «Queen II», «Sheer Heart Attack», il capolavoro «A Night At The Opera» e il successivo «A Day At The Races») contenenti cimeli che spaziano dai resoconti delle prime session con John Peel, ai costumi originali di Zandra Rhodes, dalla riproduzione di un cinema del 1970 che mostrerà una serie di filmati sulla band, alla raccolta di artwork e pubblicazioni provenienti da tutto il mondo. La Universal, casa discografica che ad agosto dello scorso anno ha rilevato dalla Emi l'intero catalogo dei Queen, intanto sfornerà ristampe a raffica con la controllata Island Records: si parte dai due «Greatest Hits» rimasterizzati che escono subito agli stessi primi cinque album della formazione capitanata da Freddie che, oltre alla rimasterizzazione, potranno contare anche su un nuovo packaging. Sempre intorno a marzo, poi, la Bbc manderà in onda un documentario esclusivo che comprenderà interviste rare ai membri della band. Per non parlare del film biopic sulla vita di Mercury già in produzione, nel quale a vestire i panni del front leader originario di Zanzibar sarà il comico inglese Sacha Baron Cohen, già distintosi in «Borat». Ma cosa ha determinato il successo planetario del gruppo britannico? Difficile trovare una risposta definitiva all'interrogativo, sebbene la rara capacità di coniugare melodia e chitarra elettrica, la passione per il lavoro in studio e una tenuta live fuori dal comune abbiano giocato un ruolo importantissimo. Certo, anche il carisma di Freddie faceva il suo. Le prove sono sotto gli occhi di tutti: dal glam acerbo di «Liar», tra i primi singoli a segnalarsi, alla suite «Bohemian Rhapsody» nella quale Mercury provava (per la prima volta) a mettere d'accordo passione per il bel canto e animaccia rock. Se «We are the champions» è ballata nota praticamente a tutti gli individui adulti dell'emisfero occidentale, scherzetti elettronici come «Radio Gaga» e i riff affilati delle varie «One vision» e «I want it all» ci ricordano che gli anni Ottanta non sono trascorsi invano. Neanche musicalmente parlando.

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